Crisi dell’Ortofrutta: meno del 50% delle Vendite Genera fatturato!

Un nuovo rapporto svela che il 60% della frutta e della verdura fresca venduta a livello globale viene commercializzata senza generare profitti o addirittura in perdita. Questo allarmante dato emerge da un’indagine condotta dalla Global Coalition of Fresh Produce sui crescenti costi di produzione e il loro impatto sull’intera filiera e sui consumatori finali.

La Global Coalition of Fresh Produce, una coalizione che riunisce associazioni di produttori di ortofrutta fresca da tutto il mondo, ha reso noti i risultati della sua indagine sui costi di produzione in continua crescita. Durante la pandemia, i produttori hanno dovuto affrontare aumenti senza precedenti dei costi operativi, influenzando profondamente la redditività del settore.

L’indagine, condotta la scorsa primavera, mette in luce come i produttori di frutta e verdura abbiano registrato aumenti significativi nei costi di fertilizzanti (60%), edilizia (48%), carburante e gas (41%), spedizioni (40%) ed energia elettrica (40%). Questi aumenti hanno superato di gran lunga le possibilità di compensazione attraverso l’aumento dei prezzi di vendita: 11% in Europa, 13% in Oceania e Sud America, 14% in Nord America e 23% in Africa.

Nonostante i tentativi degli operatori di adeguare i prezzi, quasi i tre quinti dell’industria globale si trovano a vendere in perdita o in pareggio. Questo squilibrio ha portato molti produttori a ridurre la produzione, limitare le attività di esportazione o passare a prodotti con costi di spedizione inferiori. Inoltre, l’80% dei produttori ha posticipato o annullato investimenti in capitale, attrezzature, innovazione ed espansione, decisioni che avranno ripercussioni future sul settore.

“Abbiamo condotto questo sondaggio globale per far luce sulle sfide incontrate dagli attori della filiera dei prodotti freschi in tutto il mondo”, ha dichiarato Ron Lemaire, presidente della Coalizione globale dei prodotti freschi. “Il quadro evidenziato in questo rapporto aiuterà l’industria, i suoi partner e tutti i livelli governativi a comprendere gli attuali impatti dell’aumento dei costi di produzione e operativi e a lavorare insieme per affrontarli”.

Il rapporto finale è disponibile sul sito web della Global Coalition of Fresh Produce. I dati raccolti verranno utilizzati per sviluppare strategie globali e nazionali per affrontare l’aumento dei costi di produzione e operativi. La Global Coalition of Fresh Produce, con membri come Afruibana, l’Associazione degli esportatori di banane dell’Ecuador (AEBE), l’Australian Fresh Produce Alliance, AUSVEG e la Canadian Produce Marketing, continua a lavorare per creare catene del valore resilienti per frutta e verdura, apportando benefici economici, ambientali e sociali a livello globale.

Manodopera e Costi di Produzione a Rischio la Competitività delle Imprese Orticole

La manodopera rappresenta uno dei costi più elevati per i produttori ortofrutticoli, mettendo a rischio la competitività delle aziende del settore. Questo è quanto emerge dallo studio “Valori in campo: un prezzo equo per l’orticoltura”, condotto dal Consorzio Agribologna.

La ricerca, che ha coinvolto 17 aziende orticole emiliano-romagnole su un totale di 485 ettari coltivati, ha messo in luce come la manodopera incida significativamente sui costi di produzione. Le cifre parlano chiaro: dal 42% al 47% per il cetriolo, dal 27% al 34% per la lattuga Gentile, dal 21% al 28% per la Romana, dal 21% al 31% per la Trocadero, dal 37% al 41% per la melanzana, dal 38% al 53% per la zucchina scura e dal 55% al 58% per quella chiara. La maggior parte di questi costi è attribuita alla fase di raccolta e confezionamento, piuttosto che alla coltivazione.

La ricerca è stata condotta con 1.600 ore di rilievi nei campi e nei magazzini delle aziende partecipanti, utilizzando personale tecnico interno alla cooperativa e supervisionata metodologicamente dall’Università di Bologna. Partendo dal costo orario legale dell’Emilia-Romagna (13,31 euro), sono stati classificati i prodotti in quattro categorie di qualità: extra, prima qualità senza difetti, prima qualità con lievi difetti e seconda qualità. Il costo totale di produzione è stato poi maggiorato dell’8% per l’utile d’impresa.

Agribologna e l’Università di Bologna hanno confrontato questi costi medi di produzione con i prezzi medi all’ingrosso, evidenziando che i soci orticoltori, pur operando nella legalità, si trovano spesso a confrontarsi con quotazioni di mercato non sostenibili.

“Misurare l’efficienza delle aziende agricole e la redditività generata è essenziale per il futuro del settore”, ha dichiarato Lauro Guidi, presidente di Agribologna. La ricerca ha inoltre rilevato un cambiamento nella forza lavoro, con una diminuzione delle tradizionali famiglie coltivatrici e un aumento dei dipendenti salariati, che rappresentano il 59% della forza lavoro, di cui solo il 7% è italiano.

Marco Candini, responsabile qualità, ricerca e sviluppo di Agribologna, ha sottolineato l’importanza di favorire la collaborazione tra le imprese agricole e la diffusione dell’innovazione per sostenere la competitività. “Abbiamo acquisito un bagaglio di conoscenze che può favorire la collaborazione tra le imprese e la diffusione dell’innovazione in una rete organizzativa”, ha detto Candini.

Il Consorzio Agribologna conclude che i prezzi dei prodotti ortofrutticoli dovrebbero tenere conto di tutte le variabili di costo per evitare di mettere a rischio non solo la competitività delle imprese, ma anche la sopravvivenza di tipicità ed eccellenze locali, come la zucchina chiara di Bologna o la melanzana tonda.

“Qualità totale significa dare valore al prodotto in ogni fase, dalla coltivazione alla distribuzione”, ha aggiunto Giorgia Morara, responsabile assicurazione qualità di Agribologna. Luigi Vannini, professore ordinario di Economia e Politica Agraria e curatore della ricerca, ha concluso: “La nostra orticoltura deve perseguire l’eccellenza qualitativa, il legame con i territori e contenuti distintivi chiari e riconosciuti per sostenere un’equa individuazione del prezzo”.

In un contesto sempre più competitivo, la valorizzazione dei prodotti ortofrutticoli e la garanzia di un prezzo equo sono cruciali per la sostenibilità economica e la preservazione delle eccellenze agricole italiane.

Il Futuro dei Mercati all’Ingrosso Agroalimentari: Verso una Riorganizzazione Strategica

I mercati all’ingrosso agroalimentari in Italia sono a un bivio. Con 137 strutture distribuite lungo tutta la penisola, il sistema attuale è frammentato e inefficiente rispetto agli standard europei. Italmercati, la rete che raggruppa 22 delle principali strutture mercatali italiane, insieme a ISMEA, ha delineato una visione prospettica chiara: è necessario un cambio di paradigma per trasformare questi mercati in hub multifunzionali, moderni ed efficienti.

Durante un evento tenutosi presso la sede del CNEL a Roma, Italmercati ha sottolineato l’importanza di riorganizzare i mercati all’ingrosso, riducendone il numero e migliorandone le strutture. Questo processo di razionalizzazione mira a creare mercati più grandi e sinergici, capaci di offrire una gamma di servizi aggiuntivi, dalla tracciabilità dei prodotti alla sicurezza igienico-sanitaria, valorizzando le produzioni locali e stagionali.

L’indagine di ISMEA ha evidenziato che i mercati all’ingrosso italiani gestiscono circa il 50% dell’offerta ortofrutticola nazionale, il 33% di quella ittica e il 10% delle carni. Tuttavia, questi dati risultano inferiori rispetto a quelli di altri paesi europei, indicando un potenziale inespresso. Maria Chiara Zaganelli, Direttore Generale di ISMEA, ha sottolineato come i mercati all’ingrosso possano giocare un ruolo chiave nel riequilibrio della distribuzione del valore lungo la filiera agroalimentare, specialmente in un contesto economico difficile per le imprese agricole.

I mercati aderenti a Italmercati generano un giro d’affari di 115 milioni di euro, che sale a 11 miliardi considerando le attività delle 4.000 realtà economiche operative al loro interno. La posizione strategica di questi mercati, spesso vicini a snodi logistici cruciali come autostrade, aeroporti e porti, li rende fondamentali per l’efficienza della filiera logistica. Inoltre, molti di essi operano all’interno di distretti agroalimentari di qualità riconosciuta, rafforzando il legame con il settore primario.

La sostenibilità è un altro aspetto centrale per Italmercati, con il 60% delle strutture che ha investito in impianti di energia rinnovabile, finanziati in parte dal PNRR. L’obiettivo è arrivare, entro il 2026, a una quota di energia autoprodotta pari a quasi la metà del fabbisogno totale. Inoltre, la lotta agli sprechi è rafforzata attraverso il recupero dei prodotti invenduti e donazioni a enti caritatevoli.

Il presidente di Italmercati, Fabio Massimo Pallottini, ha proposto di creare un network per condividere le politiche di settore a livello regionale e nazionale, rafforzare il ruolo dei mercati nella filiera e aprire un tavolo di lavoro sulla logistica. Questo approccio mira a superare la frammentazione attuale e a lavorare in sinergia per un sistema più efficace ed efficiente.

In conclusione, la riorganizzazione dei mercati all’ingrosso rappresenta una sfida cruciale per il futuro dell’agroalimentare italiano. Con il sostegno delle istituzioni e un investimento strategico nelle strutture, questi mercati possono diventare veri e propri hub multifunzionali, capaci di sostenere l’economia agricola e migliorare l’efficienza della filiera. Come ha sottolineato il Ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, è essenziale che le risorse stanziate siano utilizzate per rafforzare le sinergie tra gli attori della filiera e rendere il sistema logistico più efficiente. Solo così i mercati all’ingrosso potranno svolgere un ruolo di primo piano nel garantire una distribuzione equa e sostenibile del valore lungo la filiera agroalimentare.