Negli ultimi sette giorni, a Bruxelles e nelle capitali è successo poco di eclatante ma abbastanza per capire in che direzione si sta muovendo l’agenda agroalimentare europea dopo le decisioni di ottobre. Il contesto è quello che abbiamo visto nelle settimane precedenti: bilancio comunitario sotto pressione, filiere ortofrutticole che chiedono più elasticità su regole ambientali e tracciabilità, Commissione che prova a non smontare la PAC ma a farla funzionare con meno margine. Questa settimana, però, sono emersi quattro fronti che non avevamo ancora messo insieme e che riguardano da vicino chi produce, trasforma e commercializza ortofrutta.

  1. la messa in sicurezza del capitolo agricolo nel negoziato di bilancio che alcuni Stati vorrebbero alleggerire, con allarmi diretti alle filiere ad alta manodopera come l’ortofrutta;

  2. la prosecuzione, a livello tecnico, del lavoro della Commissione per rendere più digeribile l’applicazione del regolamento contro la deforestazione (EUDR) per gli operatori più piccoli e per i prodotti composti, tema che si era acceso con la proposta di ottobre ma che ora entra nella fase operativa;

  3. il tentativo del Parlamento di dare più struttura alla riserva di crisi agricola, con l’idea – nuova rispetto a quanto scritto fin qui – di usarla in modo più mirato anche per comparti che soffrono shock climatici e di mercato ravvicinati come l’ortofrutta;

  4. il tassello, spesso trascurato, dei nuovi standard di commercializzazione per frutta e verdura che la Commissione vuole allineare alle future etichette di sostenibilità: non è ancora sulla bocca di tutti, ma per chi vende IV gamma o prodotto confezionato in GDO è una novità concreta.

Di seguito il quadro, evitando di ripetere i dossier già affrontati le settimane scorse (Ucraina, misure d’urgenza su fitosanitari con la Svizzera, contenziosi sugli aiuti nazionali e i soliti dossier PAC “green” li abbiamo già coperti).

1. Bilancio UE e fondi PAC: perché l’ortofrutta è nervosa

Nel giro di pochi giorni diversi gruppi agricoli europei hanno ribadito alla Commissione che qualsiasi riduzione del capitolo agricolo nel quadro finanziario avrebbe un impatto immediato sull’occupazione agricola e sulle filiere a più alta intensità di lavoro, citando espressamente anche l’ortofrutta. Il richiamo nasce dal fatto che alcuni Stati membri, viste le spese straordinarie su sicurezza e difesa, stanno chiedendo di “efficientare” il bilancio agricolo. Le organizzazioni hanno risposto che con margini già risicati e con produttori che affrontano eventi climatici ripetuti, tagliare ora vorrebbe dire mettere a rischio proprio le aziende più specializzate e a più alto valore aggiunto.

Perché è una notizia nuova per la filiera? Perché negli scorsi mesi il discorso era rimasto generale (“non tagliamo l’agricoltura”), mentre questa settimana è diventato settoriale: ortofrutta, floreale, vivaismo e trasformazioni fresche vengono portati come esempio di comparti che assorbono più manodopera e che, se colpiti da una riduzione degli strumenti PAC/OCM, dovrebbero subito scaricare i costi sulla GDO o ridurre superficie. È un messaggio pensato per i ministri delle finanze più che per quelli dell’agricoltura, e serve a blindare la dotazione dei programmi operativi delle OP ortofrutticole, che sono uno dei pochi pezzi PAC davvero usati dal settore.

Tradotto per un operatore: nelle prossime settimane, quando i governi discuteranno di dove tagliare e dove no, sul tavolo ci sarà un argomento in più per lasciare in pace gli strumenti destinati a chi fa frutta e verdura. Non è una garanzia, ma è un cambio di tono rispetto a settembre-ottobre.

2. EUDR, fase “come lo applichiamo davvero”

Il 21 ottobre la Commissione aveva già presentato correttivi per non far schiantare sull’operatività il regolamento anti-deforestazione, in particolare per le PMI e per i prodotti che incorporano materie prime a rischio. In questi ultimi giorni a Bruxelles è circolata la versione tecnica di lavoro con cui i servizi stanno spiegando agli Stati come attuare la flessibilità annunciata: priorità ai controlli sui flussi più rischiosi, maggiore uso dei sistemi informatici già esistenti e un accompagnamento ai piccoli operatori che esportano verso l’UE. È un passaggio silenzioso, ma è quello che mancava.

Per l’ortofrutta europea la ricaduta non è tanto sui prodotti “nostri”, quanto su tutto ciò che entra come materiale di imballaggio, substrato, ingredienti o lavorazioni in prodotti misti. Le insegne e i grandi confezionatori vogliono certezze su chi deve caricare i dati e su quanto dettaglio di geolocalizzazione è richiesto per i componenti minori. L’approccio di queste ore è questo: niente rinvio generale, ma applicazione progressiva e basata sul rischio, così da non bloccare flussi di prodotto o materiali che servono alla catena del fresco. È un’impostazione diversa da quella che avevamo commentato nelle settimane scorse su altri dossier commerciali, perché qui l’obiettivo non è la protezione del mercato, ma la protezione della fluidità del mercato pur mantenendo l’obiettivo ambientale.

Per i professionisti di filiera questo significa che conviene allineare subito fornitori extra-UE e logistica alle richieste EUDR perché non sembra ci sarà un’altra finestra di slittamento: la flessibilità sarà nella pratica, non sul calendario.

3. Riserva di crisi più mirata: spazio anche all’ortofrutta

Il Parlamento europeo, in vista della prossima revisione degli strumenti di gestione del rischio, ha rilanciato l’idea – discussa nella commissione agricoltura a inizio ottobre – di rendere la riserva di crisi agricola più automatica e meno dipendente dagli sblocchi annuali. Nelle ultime giornate i gruppi politici hanno iniziato a dettagliare come: soglie di attivazione legate sia ai prezzi sia agli eventi meteo, e possibilità di concentrare gli interventi su comparti specifici, tra cui ortofrutta e vitivinicolo, che sono i più esposti agli shock climatici brevi. È un passo avanti rispetto alla linea che avevamo raccontato prima, che era più generale e più legata all’aumento della dotazione. Qui il tema è la destinazione.

Perché è rilevante ora? Perché diversi Stati membri stanno segnalando danni meteorologici molto localizzati su frutteti e ortaggi protetti che non giustificano una misura nazionale ampia ma che, se non compensati, interrompono la continuità dell’offerta. Una riserva attivabile per comparto permetterebbe, per esempio, di finanziare ritiri di prodotto, rifacimento reti, o anche sostegni al magazzinaggio refrigerato quando una partita deve essere salvata dopo grandine o caldo anomalo. È una delle poche proposte che va nella direzione chiesta dalle OP ortofrutticole: meno burocrazia, più velocità. E, soprattutto, non l’avevamo ancora vista formulata così chiaramente.

4. Marketing standard e sostenibilità: il tassello che mancava

Tra le carte che circolano in queste settimane c’è anche il lavoro della Commissione per riallineare gli standard di commercializzazione della frutta e verdura ai futuri strumenti di etichettatura di sostenibilità. È un pezzo che era rimasto un po’ in ombra rispetto alle semplificazioni PAC: ora viene ripreso perché Bruxelles vuole evitare che gli Stati membri creino etichette ambientali proprie e non interoperabili. Per farlo si sta guardando al modello PEF (Product Environmental Footprint) e, parallelamente, associazioni come Freshfel stanno già sviluppando regole di categoria “ombra” proprio per il fresco, in coordinamento con la futura norma europea. Questo punto non lo avevamo ancora portato dentro la rubrica ed è nuovo rispetto agli aggiornamenti precedenti.

Per la filiera ortofrutta questo significa due cose pratiche. Primo: chi già espone origine, calibro, categoria e caratteristiche commerciali dovrà prevedere spazio e dati per un’informazione ambientale standardizzata, non auto-dichiarata. Secondo: chi lavora con più paesi UE potrà – una volta che il quadro sarà completo – usare la stessa base dati ovunque, invece di dover confezionare etichette diverse per mercato. È un costo all’inizio, ma riduce la dispersione di oggi.

5. Effetto bilancio sui programmi operativi

Una conseguenza poco discussa del negoziato di bilancio è che i programmi operativi delle organizzazioni di produttori potrebbero essere chiamati a giustificare meglio le spese su investimenti “immateriali” (promozione, consulenza digitale, formazione), privilegiando quelli che aumentano resilienza climatica e tracciabilità. Non è un taglio, è una riallocazione. Siccome la pressione sul bilancio arriva da voci esterne all’agricoltura, la Commissione sta cercando di mostrare che i soldi dati alle OP hanno un ritorno anche in termini di sicurezza alimentare e adattamento climatico. Per questo, negli scambi degli ultimi giorni, sono stati valorizzati gli interventi su irrigazione efficiente, coperture antigrandine e sensori per il monitoraggio fitosanitario: tutti temi che stanno a metà tra agronomia e politica e che interessano direttamente chi fa ortofrutta.

In pratica: se un’OP sta progettando un programma operativo 2026 molto “marketing”, le conviene inserire ora qualche misura più tecnica e più visibilmente legata alle priorità UE, perché è lì che nei prossimi mesi si concentrerà l’istruttoria.

6. Perché questo pacchetto è diverso da quello di prima

Le settimane scorse avevamo parlato di tensioni commerciali, di rapporti con i paesi vicini e di piccoli contenziosi su norme fitosanitarie. Questa volta lo zoccolo duro delle novità è interno all’UE e tocca tre nervi tipici dell’ortofrutta: stabilità dei fondi, gestibilità delle nuove regole ambientali, rapidità di intervento dopo i danni. Non ci sono nuovi dazi, non ci sono nuovi divieti fitosanitari, non c’è il tema Ucraina: è una finestra un po’ più tecnica ma molto più utilizzabile dalle strutture di filiera.

È anche una settimana che fa capire la strategia della Commissione: non riapre grandi regolamenti, ma li accompagna con linee guida, modulazioni e indirizzi di spesa. Per i professionisti questo ha un vantaggio (si può lavorare subito su procedure e bandi) e uno svantaggio (non c’è una “grande riforma” su cui fare lobbying). Quindi la partita, nei prossimi giorni, sarà soprattutto nei tavoli nazionali che devono tradurre queste indicazioni UE in bandi, priorità e criteri di selezione.

Il team di PAN